A seconda che l’attività di preparazione dei cibi venga considerata ”cessione di beni” o ”prestazione di servizi”, l’IVA da applicare cambia: la somministrazione è assoggettata all’aliquota del 10%; la cessione è assoggettata ad IVA con l’aliquota propria applicabile in relazione alla singola tipologia di bene alimentare venduto (Agenzia delle entrate, risposta 2 agosto 2023, n. 412).
Per quanto concerne l’aliquota applicabile alla cessioni di pasti, l’Agenzia delle entrate ricorda che il numero 121) della Tabella A, Parte III, allegata al Decreto IVA prevede l’applicazione dell’aliquota del 10% alle somministrazioni di alimenti e bevande, effettuate anche mediante distributori automatici; prestazioni di servizi dipendenti da contratti di appalto aventi ad oggetto forniture o somministrazioni di alimenti e bevande.
Il numero 80) della predetta Tabella A, Parte III, prevede, tra l’altro, che tale aliquota agevolata venga applicata alle preparazioni alimentari non nominate né comprese altrove, da interpretare, ai sensi dell’articolo 1, comma 40, della Legge di bilancio 2021, nel senso che in essa rientrano anche le cessioni di piatti pronti e di pasti cotti, arrostiti, fritti o altrimenti preparati in vista del loro consumo immediato, della loro consegna a domicilio o dell’asporto.
Con la suddetta disposizione, il legislatore ha inteso fornire una soluzione alla problematica concernente la qualificazione, agli effetti dell’IVA, dell’attività di preparazione dei cibi da consegnare a domicilio o da asporto, in ordine alla quale, anteriormente, erano sorti dubbi se dovesse considerarsi quale ”cessione di beni” o ”prestazione di servizi”.
Tale distinzione rileva in quanto il contratto di somministrazione di alimenti e bevande viene inquadrato nell’ambito delle fattispecie assimilate alle prestazioni di servizi dall’articolo 3, secondo comma, n. 4) del medesimo Decreto IVA e risulta caratterizzato dalla commistione di ”prestazioni di dare” e ”prestazioni di fare”. Tale elemento distingue le prestazioni di somministrazione dalle vendite di beni da asporto, che sono a tutti gli effetti cessioni di beni in virtù del prevalente obbligo di dare.
La diversa qualificazione, chiarisce l’Agenzia, incide ai fini della individuazione dell’aliquota IVA da applicare, in quanto la ”somministrazione” è assoggettata all’aliquota del 10%, mentre la ”cessione” è assoggettata ad IVA con l’aliquota propria applicabile in relazione alla singola tipologia di bene alimentare venduto.
In merito alla distinzione in esame, la Corte di giustizia ha chiarito che, al fine di stabilire se una prestazione complessa unica debba essere qualificata cessione di beni o prestazione di servizi, occorre prendere in considerazione tutte le circostanze nelle quali si svolge l’operazione per ricercarne gli elementi caratteristici e identificarne gli elementi predominanti. In particolare, la Corte ha giudicato l’operazione di ristorazione come una prestazione di servizi solo se caratterizzata da una serie di elementi e di atti, dei quali la cessione di cibi rappresenta soltanto una parte e nel cui ambito risultano predominanti ampiamente i servizi, diversamente dal caso di un’operazione di mera cessione avente ad oggetto alimenti da asportare non accompagnata da servizi volti a rendere più piacevole il consumo in loco in un ambiente adeguato.
Pertanto, la sola fornitura di cibi e bevande nell’ambito dei servizi di ristorazione è considerata sia dal diritto unionale sia dall’Amministrazione finanziaria, una cessione di beni.
Nel caso di specie, in base ad un contratto stipulato tra una APSP e una ONLUS per il servizio di confezionamento pasti, l’APSP deve provvedere alla preparazione dei pasti e al relativo confezionamento negli appositi contenitori termici per il trasporto, con materie prime e alimenti a suo carico all’intero della propria cucina e successivamente al consumo alla pulizia dei contenitori e delle casse termiche.
Spetta, invece alla ONLUS:
- mettere a disposizione i contenitori e le casse termiche necessarie al trasporto dei pasti;
- prendere in carico i pasti presso la cucina dell’APSP;
- fornire le bevande e i condimenti, nonché le stoviglie, le posate e tutto il necessario per la distribuzione e la somministrazione dei pasti;
- distribuire e somministrare i pasti medesimi.
L’ONLUS/committente, dunque, effettua una serie di attività tra le quali la presa in carico dei pasti presso la cucina dell’APSP e la relativa distribuzione agli utenti, oltre alla fornitura di tutti i beni diversi dalle materie prime necessarie alla preparazione dei pasti, che porta a ricondurre l’attività resa dall’istante più propriamente tra ”le preparazioni alimentari non nominate né comprese altrove” di cui al richiamato numero 80) della Tabella A, Parte III, allegata al Decreto IVA, alla luce dell’interpretazione datane dall’articolo 1 della Legge n. 178 del 2020.
In merito, dunque, alla possibilità di applicare l’aliquota IVA del 4% al corrispettivo relativo ai pasti consumati dal personale della ONLUS, l’Agenzia ne ricorda l’applicabilità per le somministrazioni di alimenti e bevande effettuate nelle mense aziendali ed interaziendali, nelle mense delle scuole di ogni ordine e grado, nonché nelle mense per indigenti anche se le somministrazioni sono eseguite sulla base di contratti di appalto o di apposite convenzioni.
Il legislatore fiscale ha voluto oggettivamente agevolare in senso ampio l’attività di somministrazione ai dipendenti, purché realizzata nel locale ”mensa aziendale”, precisando il significato da attribuire a tale locuzione. Per ”mense aziendali”, infatti, si devono intendere quelle la cui gestione è data in appalto ad un’impresa specializzata ovvero effettuata direttamente dall’azienda, indipendentemente dal luogo in cui è situata la mensa; inoltre l’appaltatore deve assumere l’obbligo di fornire la prestazione esclusivamente ai dipendenti del soggetto appaltante.
Nel caso di specie, il contratto sottoscritto tra le parti non ha per oggetto la ”somministrazione” di pasti all’interno della mensa aziendale della ONLUS, bensì, la preparazione e confezionamento dei pasti, ritirati presso la cucina dell’istante, che l’ONLUS distribuisce in minima parte anche al proprio personale. Pertanto, l’Agenzia esclude l’applicabilità della predetta aliquota del 4%.